BIVONA E LA ROCCAFORTE

SUOR MARIA ROCCAFORTE E LE RIVELAZIONI

Nata a Bivona nel 1597 e ricevuto al battesimo il nome di Leonarda, presenta sin da fanciulla segni soprannaturali di predilezione divina. 

All’età di diciassette anni, nel 1614, veste l’abito benedettino e “grande fu il di lei giubilo e l’allegria del suo cuore, quando coperta si vide di quella tonaca sacrosanta, che la rendeva più preziosa agli occhi di Dio, bellissima a quelli della Vergine, di cui era imitatrice”. 

Immersa in una profonda vita ascetica e mistica, tanto da essere definita come la “nuova Caterina da Siena”, fu resa degna di ottenere segni di virtù singolari e rivelazioni divine che condivise con il p. Francesco Sparacino della Compagnia di Gesù, che elesse come suo padre spirituale. 

Se innumerevoli furono le visioni soprannaturali avute dalla Serva di Dio, le rivelazioni avute su santa Rosalia si mostrarono senza uguali, tanto da incidere e plasmare la struttura agiografica che si avrà dell’eremita. Non senza fondamento Giuseppe Romano, biografo della Roccaforte, poté scrivere che la santa “d’altra tromba non s’habbia servito per far giungere il suono delle sue nascoste azioni al mondo, che dalla bocca veridica di Suor Maria, a cui palesò la vita ammirabile menata co’ gran rigore ne’boschi, e ne’monti della Quisquina, e Pellegrino in mezzo alle fiere, e dentro horride spelonche”.  

Quando nell’estate del 1624, mentre terribile imperversava la peste che mieteva vittime in tutta la Sicilia, a Palermo qualche devoto sacerdote cominciava a implorare l’intercessione di tale Santa Rosolea, di cui si era persa l’antica memoria storica e cultuale, e per la quale si era dato inizio a cercare il corpo nella grotta del Monte Pellegrino, nella diocesi di Girgenti, e particolarmente a Bivona, erano ancora presenti le tracce del culto e della devozione alla santa eremita palermitana, ma apparivano totalmente perduti i tratti della sua esistenza.   

Proprio in quell’anno, Suor Maria Roccaforte “desiderosa di sapere la vita della santa suddetta, di cui era sempre stata particolar devota, si diede con orazioni, digiuni, e penitenze ... l’esaudì la Vergine Sagratissima, per quanto ella poi raccontò al M. R. P. Francesco Sparacino della Compagnia di Gesù suo confessore … e l’apparve un giorno menando seco la Santa adorna di celeste bellezza, che ad un cenno di questa Santissima Madre racconto a Suor Maria la sua vita”.

Il testo della vita di santa Rosalia del p. Francesco Sparacino ebbe un notevole successo, quasi al pari di quello di Giordano Cascini; e conseguentemente, anche le rivelazioni della venerabile Roccaforte conobbero una buona diffusione, strutturando la letteratura agiografica rosaliana oltre che influenzando i canoni della sua iconografia artistica. 

Se in passato il nome di Maria Roccaforte ha goduto di una certa fama, tanto da essere appellata “ornamento della nostra Sicilia”, a partire dai primi decenni del ‘900 si assiste a un repentino tramonto della sua memoria. Sappiamo che sino a non molti decenni fa vi era memoria di alcuni suoi ritratti, oggi perduti, in diverse chiese e case di Bivona.

Il pittore bagherese Luca Crivello, su commissione dell’Associazione Sursum ha dipinto, rimanendo fedele all’incisione secentesca che troviamo nel Brieve compendio dell’ammirabile vita di suor Maria Roccaforte (1678) di Giuseppe Romano. Questo ritratto è inserito in una cornice lignea dorata a lestofados caratterizzata da rose e gigli che richiamano il nesso tra la mistica e santa Rosalia, oltre che dal cartiglio dove troviamo l’iscrizione che il vescovo di Agrigento Francesco Osorio volle che si iscrivesse “desidero di ingrandire più la di lei fama”.

 CARMELO DI LIO

NELLA CHIESA DI SAN PAOLO DI BIVONA

Nel panorama della storia del culto rosaliano la chiesa di San Paolo e l’annesso monastero delle Benedettine Cassinesi di Bivona hanno rivestito un ruolo significativo, divenendo nei secoli quel focolare che a tempore immemorabili ha mantenuto accesa la fiaccola della memoria liturgica e quindi anche “storica” della santa vergine asceta. 

Proprio a San Paolo troviamo attestata la più antica orazione a santa Rosalia che le monache erano solite recitare ogni sera al termine della Compieta. Ce ne dà notizia il gesuita p. Francesco Sparacino (1584-1649) che parlando della vita di santa Rosalia, alla fine dell’opera omonima, riporta questa preghiera “avuta per antica tradizione”. E tempo dopo il monaco benedettino Pietro Antonio Tornamira (1618-1681) nell’Idea congetturale della vita di S. Rosalia(1668) riporta: 

 Deus corona gloriae, qui Beatam Rosaliam Virginem tuam de Regia ad desertum eductam, & gloriosis floribus coronatam ad Paradisi delicias assumpsisti: da quaesumus eius auxiliis ut a malis omnibus eruamur, & perseverantiae coronis potiamur optatis. Per Dominum nostrum…

[Trad.:O Dio corona di gloria, che hai assunto la beata Rosalia, Vergine tua, condotta dalla Reggia al deserto e, coronata di gloriosi fiori, alle delizie del Paradiso: concedi, ti preghiamo, con il suo aiuto che siamo liberati da tutti i mali e conseguiamo le desiderate corone della perseveranza. Per il nostro Signore…]

Deus, qui Beatam Rosaliam Virginem tuam, diversarum virtutum flore coronatam, tecum in coelis perenniter collocasti: concede quaesumus, ut cuius imploramus suffragia, sentiamus optata. Per Dominum nostrum .. 

[Trad.: O Dio, che hai coronato la beata Rosalia con il fiore delle tue molteplici virtù e l’hai posta in eterno con te nei cieli, concedi, ti preghiamo, di sperimentare i desideri (i voti) di colei di cui imploriamo l’aiuto. Per il nostro Signore…].

Se è vero quanto attesta la tradizione erudita, che a Bivona la prima chiesa dedicata alla santa risalga al 1246, o se comunque, seguendo il gesuita Giordano Cascini – autore del celebre Di Santa Rosalia vergine palermitana libri tre (1651), che si imporrà come il testo canonico per la ricostruzione agiografica dell’eremita – apparirebbe indubbio collocare la fondazione del culto rosaliano durante la Signoria dei Chiaramonte (1363-1392), non è inverosimile pensare che proprio le “antichissime e prime Madri” di San Paolo avessero trovato in quella santa Rosalia che aveva calcato i sentieri della terra della Quisquina e delle Rose, abitandone gli antri, un modello privilegiato di santità verginale mistico-penitenziale, che si innestava nello spiritualità ascetica della regola di san Benedetto da Norcia. 

A testimonianza di questo, l’altare maggiore di San Paolo è sovrastato da un trono eucaristico il cui baldacchino tardo barocco vede spiccare accoppiate al proprio apice oltre che la grande figura di santa Gertrude di Helfta proprio la vergine Rosalia, segno plastico della centralità e dell’importanza tributata a questa santa nella vita artistica e contemplativa del monastero. 

Sarà proprio una monaca terziaria benedettina legata a quel monastero, suor Maria Roccaforte, che grazie alle sue visioni restituirà i contorni storici di santa Rosalia, la cui esistenza, quasi del tutto sbiadita, risultava allora “avvolta tra le nubi dell’incertezza”.

CARMELO DI LIO

 

Dalle rivelazioni alla Roccaforte, la santa sarebbe nata nel Palazzo Reale di Palermo il 6 ottobre 1129 da Maria e Sinibaldo e al battistero del Duomo palermitano ebbe nome Rosalia, “che vuol dire corona fatta di rose”.

Sin dalla tenera età, educata dalla nutrice Antonia alle pratiche di pietà e alla recita delle preghiere alla Madonna, cominciava a udire voci interiori dove spesso percepiva il richiamo di Gesù ad amarlo e servirlo. Compiuto il dodicesimo anno di età, la madre voleva darla in sposa a Balduino, parente di suo padre Sinibaldo.

Scrive lo Sparacino nella Vita della gloriosa Santa Rosalia– che verrà edita da Francesco Forti nel 1650 e che raccoglie le rivelazioni della venerabile Roccaforte – che “non rifiutava ella il partito, non havendo ancora quel lume del Cielo, che gli facesse sprezzare ogni pensiero humano, volea pur maritarsi, e però acconsentiva, che le fosse accomodata la testa, ed ornata per comparire conforme l’uso della Patria, vestendosi come conveniva allo stato di parente del Rè. 

Ma non cessava il divino Amore drizzare lo strale celeste nel verginal petto di Rosalia, facendo le parti dello Sposo divino, che la cercava per sé, conciosia che importunava sempre dì, e notte le medesime parole.

Rosalia amami, e servimi, sta forte nel mio servizio, 

e non haver altro Sposo, che me.

ed allora più che mai quando si stringeva il pensiero del maritarla, perché da dieci volte senti tal voce, ed in un giorno il Signore gli folgorò nel petto un dolce lampo di efficace chiamata, e diede l’ultimo assalto al suo puro cuore per staccarla dal mondo, ed unirla a sé.

Stando ella dunque un giorno a sedere con lo specchio in mano, ed Antonia acconciandole la testa, e lavandole la faccia, e vagheggiando se medesima in quello. Ecco farsi una nuova, e meravigliosa metamorfosi, che in cambio di veder se, vidde lo sposo suo, che tanto tempo l’andava cercando, percioche vidde Christo Crocifisso d’aspetto compassionevole, e gratioso, tinto di fresco sangue, e vivo, che le disse

O Rosalia, la mia faccia fu sputata, 

e li miei capelli stracciati da Manigoldi, 

e tu imbiondi i capegli ed acconci la faccia?

Non più disse Giesù, ma furono pronuntiate le parole con maniere sì amorose, ed accenti sì pietosi, che gli ferirono dolcemente il cuore in modo, che da sedere s’inginocchiò di repente alla sola veduta del volto, stando Antonia attonita allo spettacolo, e tutta di fuoco celeste accesa le risponde

Ah Signore mio perdonatemi se io ho seguitate le vanità, 

e sporchezze del mondo, e non ho corrisposto 

alle vostre divine inspirazioni. 

Vedete che volete,

che io facci per vostro amore.

A cui soggiunse Christo:

Lascia le vanità del mondo,

le quali hai seguitate, per amor mio.

Così disse Christo, e sparì,

ed ella restando così accesa

d’un soave fuoco d’amore di Christo,

che disse subito ad Antonia:

Và e pigliami un paro di forbici:

fra tanto ella per non vedere più se medesma, ove havea veduto Christo, gittò in terra lo specchio, e conculcandolo con i piedi detestò sì fattamente d’allora le vanità del mondo, che mai più si diede in preda loro, e come fè in mille pezzi quel vetro, così stimò da quel punto per vetro fragile, e polvere il mondo”. 

Da questa conversione comincerebbe la vita eremitica di Rosalia negli antri di Santo Stefano e Bivona, terra della Quiquina e delle Rose, e

proprio nella grotta della Quisquina santa Rosalia lascia traccia di sé e del suo parentato, incidendo il suo atto di amore per Cristo, che suona così:

EGO ROSALIA SINIBALDI,

QUISQUINAE ET ROSARUM DOMINI FILIA

AMORE DOMINI MEI IESU CHRISTI

IN HOC ANTRO

ABITARI DECREVI